Riflessioni di Cambiamento
n. 2
DENTRO LE PAROLE
di Fabio Balestro
Alcune parole devono la loro fortuna in quanto a diffusione e popolarità, alla loro capacità di simboleggiare e sintetizzare l’humus culturale e sociale che le ha generate. A questo proposito mi ha incuriosito il termine “sfigato”, da un lato perché molto presente nel linguaggio giovanile (e non solo), dall’altro perché il suo utilizzo è accompagnato da peculiari connotazioni emotive; viene infatti spesso usato per esprimere una particolare forma di disprezzo sociale e molte persone sembrano darsi parecchio da fare per non essere appunto designate in tal modo!
Ho quindi approfondito.
Storicamente è un termine abbastanza recente; se la memoria non mi tradisce comparve verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso sebbene nella forma del sostantivo “sfiga”. Allora era utilizzato come equivalente di sfortuna, iella.
Figlio probabilmente di una cultura maschilista questo vocabolo utilizzava la condizione di non accesso alle grazie femminili come simbolo per estensione di sventura e malasorte. Non era comunque originariamente connotato da un significato particolarmente negativo; dire “che sfiga ho avuto” o “che sfiga hai avuto” non aveva implicazioni di sorta per l’autostima del soggetto. La possibilità di incorrere in circostanze avverse e sfortunate (la sfiga, appunto) era avvertita come possibilità universale; oggi a me, domani a te.
Tuttavia nel procedere degli anni ebbe luogo una trasformazione del suddetto termine. Dapprima divenne aggettivo (persona sfigata, ragazzo/a sfigato/a ecc…) e quindi assurse alla condizione di aggettivo sostantivato: lo Sfigato o Sfigatone nella forma peggiorativa. Ed insieme alla forma mutò anche il significato e le implicazioni sociali e relazionali. Se consultiamo infatti un vocabolario della lingua italiana, per esempio il Treccani, troviamo:
Sfigato, aggettivo e sostantivo maschile
-sfortunato, iellato
-privo di pregio o attrattive, insignificante.
Il primo significato corrisponde all’uso originario, il secondo rispecchia l’accezione moderna. Come potete notare si tratta di una notevole trasformazione
Che è successo? Se si guardano un po’ di film inglesi o americani in lingua originale è semplice notare che il termine sfigato traduce l’appellativo “loser” usato moltissime volte soprattutto se si tratta di college movie.
Quindi “ Loser”, il Perdente della cultura anglo/americana. Le implicazioni sono profonde.
Nella cultura cattolica un soggetto privo di risorse e attrattiva non è condannato (si veda la parabola dei talenti). Più che il numero di talenti conta infatti l’uso che se ne fa; C’è sempre la possibilità di evoluzione, crescita, riscatto. L’uomo conquista la salvezza tramite le proprie opere.
Nell’etica protestante luterana e calvinista il successo è invece segno della grazia divina ricevuta. IL Vincente testimonia attraverso la sua condizione di essere un predestinato. Il Perdente rivela attraverso la sua miseria il suo stato di dis-grazia, nel senso letterale di essere fuori dalla grazia di Dio. Non c’è spazio né possibilità di riscatto, evoluzione, trasformazione. Essere Vincenti o Perdenti non rappresentano condizioni transitorie, contingenti e modificabili. Sono sentenze.
Quindi il Perdente merita tutto il disprezzo per la sua inemendabile condizione di dis-grazia. Essere Sfigato diventa quindi una condanna, un marchio inalienabile. Si capiscono quindi tutti gli sforzi per non apparire tale.
Per concludere, questa parola, nella sua accezione più moderna, non è forse che uno scomodo “prestito” dello spirito concorrenziale e individualistico americano dove l’importante è solo vincere in tutti i campi dell’esistenza, anche quello dell’apparenza.