Riflessioni di Cambiamento
n. 3
I FANTASMI DEL SALVATORE
istruzioni per un dis-uso consapevole
di Valter Tanghetti
Bisogno o desiderio di onnipotenza. Timore di impotenza. Il potere, presunto o reale, nella relazione. Chi opera nei contesti delle cosiddette “relazioni di aiuto”, come professionista o come volontario poco importa, prima o poi ci fa i conti. Meglio prima, che poi.
Un passo per volta. Come ci ha avvertito l’analista transazionale Stephen Karpman, con riferimento alle grandi narrazioni popolari (fiabe, tragedie classiche), esiste una tendenza dell’essere umano a pensare, strutturare ed interagire secondo schemi e dinamiche triangolari che prevedono tre ruoli fissi: Vittima, Aggressore, Salvatore. Nei “giochi psicologici”, ovvero nelle transazioni o interazioni sociali “nevrotiche”, i
partecipanti possono mutare di posizione o di ruolo, ma continuano a muoversi all’interno di questo “triangolo drammatico”. Vedremo così sempre in azione una Vittima, un Aggressore ed un Salvatore.
Oltre che all’ambito psicoterapeutico in cui è nato, il modello del triangolo di Karpman può essere utilizzato come efficace strumento di analisi anche in altri contesti interazionali e comunicativi quotidiani. A titolo di esempio, prendiamo le attualissime narrazioni collettive attorno al tema della pandemia. Se il virus è facilmente identificabile come l’aggressore dei cittadini, il personale sanitario (o in prospettiva il vaccino) può facilmente diventare il nostro salvatore. Oppure, mettendoci in guardia dai “veri” aggressori rappresentati da poteri forti più o meno occulti e dai loro avatar (governo mondiale, lobby farmaceutiche), alcuni cittadini, complici i Social Media, possono facilmente trasformarsi da vittime a salvatori. Per non parlare della strumentalizzazione comunicativa di episodi di cronaca o di fenomeni sociali. Alcuni partiti e movimenti politici (supportati da giornali e social media) si ergono a salvatori dei cittadini, facilmente dipinti ed identificati come vittime di aggressori o nemici altri. Gli stessi cittadini, che si vivono come vittime, possono poi facilmente tramutarsi in aggressori nei confronti di categorie ampie di persone (generalmente più deboli) che, a loro volta, troveranno altri salvatori pronti a difenderli… e così via. Le combinazioni ed i ruoli cambiano, ma dal triangolo non se ne esce.
Generalmente, in una relazione d’aiuto, noi operatori/volontari giochiamo (e forse preferiamo giocare) il ruolo di Salvatore. Chiaro, occuparsi di chi vive una condizione di disagio significa inevitabilmente entrare in contatto con la sofferenza dell’altro. E spesso questa sofferenza è riconducibile anche ad un persecutore reale che, nel presente o nel passato, agisce o ha agito una forma di violenza nei confronti della persona con la quale interagiamo. Ad esempio, ci viene facile pensare alle donne vittime di violenza, per le quali l’aggressore è o è stato un uomo, molte volte il compagno stesso. Oppure ai rifugiati politici, per i quali il persecutore è rappresentato dallo Stato oppressore del paese di provenienza. Di fronte alla sofferenza dell’altro, anche per tutte quelle situazioni più sfumate, ci viene facile ricercare un
aggressore terzo e posizionarci nel ruolo di salvatore in aiuto della vittima. Senza rendercene conto, rischiamo così di attivare una dinamica di potere e di perpetuare un rigido copione triangolare, lasciando di fatto l’altro nella posizione di vittima e soffocando le possibilità di evoluzione personale e cambiamento del sistema, oppure scivolando noi stessi, più o meno consapevolmente, nel ruolo di vittime se non addirittura di aggressori. Il nostro intervento, alla lunga, rischia di risultare del tutto inefficace se non addirittura dannoso.
Come decostruire questo labirintico gioco di potere? Quale strada seguire per uscire dal subdolo ruolo del Salvatore e destrutturare dunque l’insidioso triangolo drammatico? Per quanto amante del mare, non m’inabisserei in acque troppo profonde e lascerei ai più quotati psicanalisti l’interpretazione di segni e simboli riemersi qua e là dal rimosso individuale (“Perché mai avrò inconsciamente scelto di occuparmi degli altri?). Per quanto appassionato di montagna, non mi avventurerei neppure, per quanto fondanti e fecondi, sugli irti sentieri profetici della giudaico-cristiana etica del prossimo (Sono forse io custode di mio fratello?). Mi incamminerei, piuttosto, su di un più schietto percorso di rispecchiamento e consapevolezza, a partire dall’osservazione di alcune tracce visibili lasciate, qui ed ora, dalle nostre prassi operative quotidiane (Cosa si attiva, in me e in chi mi circonda, quando sono all’interno di una relazione di aiuto?). Mi farò aiutare da Eugene Enriquez e da Natale Losi che, rispettivamente in ambito educativo-formativo e di intervento umanitario post-bellico, hanno provato a tracciare ed analizzare otto profili di “fantasmi del Salvatore” che si aggirano, più o meno visibili e indisturbati, tra operatori e volontari. Mi paiono riferimenti sufficientemente riconoscibili, assolutamente attuali ed estendibili alle diverse professioni d’aiuto, sia ad operatori che volontari.
Il primo fantasma è quello che i due autori definiscono del “Formatore”, in quanto nel suo ruolo di salvatore mira ad imprimere nell’altro una buona forma ordinata, percependosi come modello da seguire: “Segui me, fai come me e ti salverai”. Così facendo però, il Formatore rischia di deprivare l’altro delle proprie esperienze, del proprio sapere e dei propri strumenti, bloccandolo su di un modello precostituito, ripetitivo e, a lungo termine, sterile.
Il fantasma del “Terapeuta” è convinto che la società e le persone si siano ammalate o guastate a seguito di qualche evento traumatico. Si propone quindi di curare le loro ferite, ristabilendo la salute e l’integrità di partenza: “Sei malato, sei traumatizzato, ti curerò e tu tornerai quello di prima”. Il rischio, in questo caso, è da un lato di polarizzare eccessivamente salute-malattia e normalità-anormalità, dall’altro di ridurre fenomeni complessi e semplici cause-effetti, evitando i necessari approfondimenti.
Con riferimento alla famosa levatrice di Socrate, il “Maieuta” è colui che dà la vita, che fa emergere ed attiva le potenzialità nascoste dell’altro: “Sei una persona positiva, hai grandi capacità, supereremo insieme questo momento difficile”. Idealizzando e valorizzando positivamente la natura umana, il rischio è però quello di non riconoscere o sminuire le contraddizioni delle persone e le conflittualità delle relazioni sociali, nonché le fatiche che l’altro sta incontrando.
L’ “Interprete” è completamente concentrato nella ricerca di cause e giustificazioni dei fenomeni e del comportamento, al fine di far acquisire all’altro cosciente delle cose. Il rischio di questo tipo di salvatore è, da un lato di confondere il piano etico-morale con la spiegazione dei fenomeni, dall’altro di usare la propria parola come “Verbo”, senza dare spazio ad altre possibili interpretazioni.
Il quinto fantasma è quello del “Militante”, colui che incita all’azione, al cambiamento, alle trasformazioni sociali immediate: “Il tuo male viene da fuori, dalla società corruttrice che dobbiamo combattere”. L’aggressore è quindi esterno, nella società. Questo fantasma tende però a semplificare eccessivamente la realtà e, nella lotta comune contro il nemico esterno, a fare confusione tra il proprio ruolo e quello di chi si assiste.
Anche il “Riparatore” è fortemente critico nei confronti della società, ma a differenza del militante non propone di “lotta per la rivoluzione”, ma si fa carico dei problemi dei più deboli e promuove attività di cura comunitarie. Vivendo la propria attività come una missione (potrebbe benissimo chiamarsi anche “Missionario” o “Santo”), questo fantasma tende a farsi coinvolgere totalmente e a sacrificarsi, rischiando però di non rimuovere le cause dell’esclusione e mantenere quindi l’altro in una posizione di vittima.
Il fantasma del “Trasgressore” intende salvare l’altro liberandolo dai divieti e dalle repressioni delle istituzioni, favorendo la spontaneità ed il rifiuto dei limiti imposti: “Devi liberarti da tabù e regole repressive che limitano la tua azione”. Le sue teorizzazioni e proposte appaio spesso troppo riduttive e semplificate, con il rischio di generare in realtà solo trasgressione ed instabilità nella persone e nel sistema.
Infine, Enriquez e Losi delineano anche il fantasma del “Distruttore” che, pur nell’intento di voler rendere l’altro più consapevole ed autonomo, in realtà, attivando una sorta di “formazione reattiva”, finisce per essere distruttivo nei suoi confronti, generando conflitto emotivo e dipendenza. Volendo mantenere i fantasmi nel novero del Salvatore, il “Distruttore” è probabilmente un caso limite, pericoloso in quanto molto subdolo e difficilmente rintracciabile.
Avete riconosciuto o, meglio ancora, vi siete riconosciuti in uno o più fantasmi? Non temete! Significa che siete già a buon punto sulla via di una maggiore consapevolezza. Come si sa, una volta “svelati” i fantasmi… scompaiono. Oppure, una volta ri-conosciuti, posso allearmi con loro per essere ancora più efficace nella mia azione d’aiuto, in relazione alle caratteristiche di chi ho davanti. Ma questo potrebbe essere tema di un altro articolo.
Concludo con un aneddoto. Durante un recente corso di formazione con un gruppo di operatori volontari, mentre stavamo analizzando uno dei fantasma del salvatore, un partecipante ha commentato così: “È esattamente quello che accadeva con la mia ex moglie…”. Il fantasma aveva colpito anche lì.