Riflessioni di CambiamentoLA MEDIAZIONE FAMILIARE: un nuovo servizio per Spazio Cambiamenti

29 Marzo 2021

LA MEDIAZIONE FAMILIARE
Un nuovo servizio tra le offerte di Spazio Cambiamenti

di Angela Ottelli
educatrice, pedagogista e mediatrice familiare

 

Mai come al giorno d’oggi ci accorgiamo di come le relazioni interpersonali e familiari siano ricche di sfumature, difficoltà e talvolta conflitti acuiti dalla situazione mondiale che dal 2020 costringe i sistemi relazionali a vivere nonostante le fatiche sotto lo stesso tetto (ANSA 2019; ANDI, 2020).
Da molti anni al fianco dei conosciuti sostegni psicologici, terapie di coppia e familiari, avvocati divorzisti, è stata introdotta una figura che può affiancare le famiglie che stanno affrontando crisi legate alla convivenza, al matrimonio e più in generale difficoltà relazionali.
Si tratta del MEDIATORE FAMILIARE.
Scopriamo insieme chi è questo professionista e cosa è la MEDIAZIONE FAMILIARE.

La prima definizione proposta in Europa dall’Associazione per la Promozione della Mediazione Familiare (1990) dice che in materia di divorzio o separazione “(La mediazione) …è un processo in cui un terzo, neutrale e qualificato, viene sollecitato dalle parti per fronteggiare la riorganizzazione resa necessaria dalla separazione, nel rispetto del quadro legale esistente”. Il ruolo del mediatore è quello di portare i partner della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole mutuamente accettabile. Si tiene conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia, e in particolare quello dei figli, in un’ottica di corresponsabilità e uguaglianza dei ruoli genitoriali. Il termine mediazione fa riferimento in modo generico a un processo in cui un terzo neutrale, con una specifica preparazione e indipendente dal sistema giudiziario, facilita il raggiungimento degli accordi tra due parti contrapposte dove i termini “familiare”, “dei conflitti familiari” e “comunitaria e sociale” specificano i vari ambiti di applicazione e gli obiettivi specifici. In particolare, la mediazione familiare si occupa delle problematiche relative alla separazione e generalmente si distingue da altre forme di mediazione: la mediazione dei conflitti familiari che si occupa di tutti i conflitti in ambito familiare (famiglie affidatarie e di origine, tra fratelli e cognati in occasione di malattie dei genitori, tra genitori e insegnanti…) e la mediazione comunitaria e sociale che si attua in specifici contesti e con attori che possono essere gruppi o coppie unite dalle circostanza (mediazione penale, scolastica, culturale…). Negli ultimi anni, queste forme di mediazione che non si focalizzano sul tema della separazione giudiziaria o del divorzio e che virano invece in modo deciso verso il tema della ricomposizione del sistema, possono essere inviate e inserite in un setting di counseling di coppia o di comunità. Ciò, non di meno, rimane sempre deontologicamente aperto il tema dell’invio ai servizi sociali e/o al trattamento psicoterapeutico qualora nella coppia si ravvedessero segnali di violenza domestica o di disturbi della personalità da parte anche solo di uno dei membri della coppia. Due condizioni queste che, oltre agli aspetti di sofferenza personale e di vincoli giuridici, potrebbero invalidare in qualsiasi momento gli accordi a volte faticosamente raggiunti.

COME, QUANDO e PERCHE’ rivolgersi a un mediatore familiare?
La mediazione familiare, secondo Canevelli e Lucardi (2000), prima di proporsi come specifico contesto professionale, presuppone un atteggiamento culturale di fondo basato sulla consapevolezza che, proprio nei momenti più critici del ciclo di vita della famiglia come la separazione e il divorzio, la molteplicità dei bisogni e le necessità di nuove modalità organizzative e relazionali funzionali al soddisfacimento dei bisogni evolutivi dei membri della famiglia non possono essere ricondotti esclusivamente a contesti rigidi, formalizzati e obbligati. La graduale comparsa accanto ai tradizionali contesti “forti” caratterizzati dalla dimensione dell’obbligo, del controllo o del bisogno di affidamento a forme più attente alla libera scelta delle persone e alle dinamiche evolutive dei rapporti e delle loro trasformazioni nel tempo, ha portato l’emersione di contesti all’opposto “deboli” i quali si attivano sulla base della richiesta e della disponibilità personale, riconoscono la competenza degli utenti e affiancano gli spazi di aiuto più tradizionali.
Parlando di “debolezza” di questi contesti d’aiuto non obbligatori, in realtà s’intende sottolinearne le “forza” in quanto si pensa che l’adesione spontanea e la mancanza di una connotazione negativa che solitamente acquisiscono i contesti ufficiali, fanno sì che si determini una maggiore attivazione di risorse legata al sentirsi protagonisti delle decisioni e della propria vicenda esistenziale. Il principio cardine della mediazione familiare è quindi la competenza: “Le persone sono competenti riguardo alle decisioni della propria vita, almeno fino a prova contraria.”.
Caillé, un autore che amo particolarmente, parla di famiglia terapeuta di se stessa. È da questo principio di competenza che deriva l’operatività della mediazione familiare stessa, le sue caratteristiche contestuali e la definizione dei suoi obiettivi.

Lungi dal pretendere che la mediazione familiare sia sufficiente e risolutiva per tutti i bisogni delle famiglie, è bene specificare che proprio la limitazione dello spazio d’intervento della mediazione e il rispetto del principio di competenza di cui parlano gli autori, permettono di evidenziare le funzioni specifiche di altri contesti (come già precedentemente sottolineato) quali quello terapeutico o giudiziale. Parlando di competenza, non ci si riferisce alla semplice capacità di assumere delle decisioni, piuttosto alla disposizione a riconoscere i diversi bisogni di una fase esistenziale del sistema, a confrontarli con quelli delle persone coinvolte nella ristrutturazione delle relazioni, a discriminare i diversi contesti di riferimento e i ruoli sociali con le loro implicazioni normative, a sperimentare infine i limiti della propria competenza decisionale. Questa stessa è particolarmente esposta e fragile in una coppia che vive un momento di forte crisi, carica d’intensità emotiva e di una necessità riorganizzativa, come capita ad esempio nelle situazioni di separazione coniugale. Il rischio è che quel “… fino a prova contraria” a cui si faceva cenno prima, diventi una regola piuttosto che l’eccezione. La coppia può avvertire una “incompetenza” legata alle difficoltà oggettive del momento e alle criticità della vicenda familiare e questa percezione può venire confermata e amplificata in un circolo vizioso con intensità crescente anche nei contesti d’aiuto che le persone incontrano nel loro percorso di separazione. “È allora forse il caso di far seguire alla formulazione del principio fondamentale una sorta di corollario, una specificazione la cui funzione è proprio quella di evitare la prevalenza delle prove contrarie al riconoscimento delle risorse. Questa specificazione riguarda il fatto che le competenze (…) possono avere bisogno di contesti o, comunque, di incontri favorenti in certe fasi del ciclo della vita in cui sono particolarmente sottoposte a stress, purché questi contesti, o la qualità di questi incontri, siano tali da garantire la loro sollecitazione, il loro mantenimento e da non provocarne invece l’ulteriore impoverimento” (Canevelli e Lucardi, 2000).

Su queste premesse è possibile chiudere il quadro del “COME”:

  • la mediazione familiare come intervento, con modalità operative specifiche che riconoscano le competenze dei partners, coniugati o meno, i quali vengono considerati non già utenti di un servizio ma “clienti” esperti di loro stessi;
  • la mediazione familiare come spazio parziale e limitato, indipendente dal contesto giudiziario e psicoterapeutico;
  • la mediazione familiare come luogo del sostegno alle competenze, le quali devono divenire linee giuda nella definizione degli obiettivi di lavoro e nella costruzione delle regole contestuali.

Sul “QUANDO”, è facile pensare che una coppia acceda alla mediazione quando ha già deciso di porre fine alla propria relazione, di separarsi se sposati, e “semplicemente” vuole essere aiutata a portare a termine il processo di divisione nel migliore dei modi e con i minori danni possibili per i figli, se sono presenti. Al contrario è altrettanto facile pensare che una coppia accede a un percorso terapeutico quando chiede aiuto per essere “salvata” nel momento di forte crisi. Eppure, anche se il mediatore non opera come un terapeuta, egli può utilizzare un approccio molto più complesso delle tecniche di mediazione negoziale e più profondo, per confrontarsi con i nodi irrisolti negli individui, nella coppia e nelle famiglie di origine allo scopo di affrontare in modo più libero e costruttivo il percorso della mediazione. Con la fondazione nel 1995 dell’AIMS, associazione di categoria con cui ho fatto formazione e che regola la disciplina, venne fatta la scelta, condivisa da soci e fondatori, di occuparsi di mediazione in ottica sistemica non limitandosi alla mediazione familiare in corso di divorzio, ma occuparsi anche degli altri interventi mediatori sulla famiglia, nonché, di altri campi comunitari e sociali.

Su queste premesse è possibile quindi chiudere il quadro del “quando” di una mediazione familiare riassumendo: quando una coppia ha deciso di separarsi e/o divorziare;

  • quando anche un solo membro di una coppia ha deciso di separarsi/divorziare;
  • quando una coppia, pur non avendo ancora deciso, considera la separazione come un’ipotesi molto probabile per la soluzione dei conflitti o delle crisi di coppia;
  • quando una crisi familiare mette in dubbio il mantenimento della coppia.

PERCHE’ una coppia, una famiglia può o deve affrontare un percorso di mediazione familiare? Il pensiero che la scuola di specializzazione in mediazione familiare mi ha aiutata a costruire rispetto al tema della mediazione familiare e dei conflitti in generale è fortemente intrecciato al tema della cura dei legami. L’obiettivo assolutamente ambizioso di questa proposta credo sia il trattare la fine di una relazione in vista però della sopravvivenza di un legame. “Si tratta di riconoscere l’esistenza di aspetti positivi e si tratta di tener viva la fiducia nel legame e in se stessi come degni di legame. Come dire, se quel legame è fallito, è valsa la pena di viverlo e vale la pena nella vita dare cura ed energia ai legami.”.
Su quest’unica premessa penso di poter fondare i “perché” di una mediazione famigliare pluralista. Con essa è possibile:

  • ridurre gli aspetti più cruenti dei conflitti;
  • ridefinire in positivo le “crisi” relazionali;
  • sostenere le coppie in una fase dolorosa della loro vita;
  • dare voce al benessere psicologico dei figli senza strumentalizzazioni;
  • elaborare la perdita, la cura e l’evoluzione dei legami;
  • facilitare e accompagnare gli accordi di separazione;
  • individuare precisi obiettivi condivisi dai clienti.

L’AIMS (Associazione Internazionale Mediatori Sistemici) definisce la mediazione sistemica “…processo interattivo finalizzato al raggiungimento degli accordi nelle situazioni di conflitto che s’instaurano in differenti contesti: familiare, comunitario, istituzionale e sociale”.
La metodologia della mediazione sistemica s’ispira ad alcuni principi teorici di base tra cui: la consapevolezza dell’inevitabilità del conflitto nelle relazioni umane e la conseguente necessità di valorizzarne gli aspetti costruttivi ed evolutivi, l’importanza di ampliare il campo di osservazione a tutti i sistemi coinvolti nella dinamica del conflitto, l’esigenza di circoscrivere gli obiettivi dell’intervento al raggiungimento degli accordi (rispettando la complessità degli eventi e degli intrecci relazionali). Nello specifico dei temi della separazione e del divorzio, la mediazione sistemica si propone come un percorso d’aiuto prima, durante e dopo la separazione o il divorzio. L’obiettivo è fornire un contesto strutturato e protetto, in autonomia dall’ambiente giudiziario, dove poter raggiungere accordi concreti e duraturi su alcuni temi (affidamento, educazione dei figli, periodi di visita, gestione del loro tempo libero, divisione di beni …). Sempre l’AIMS sostiene che l’intervento vada effettuato con entrambi i partner e, quando il mediatore lo ritenga necessario, anche con i figli, riconoscendone il ruolo attivo all’interno delle dinamiche familiari.
Il punto di vista sistemico ripropone la famiglia nella sua storia intergenerazionale e nel suo ciclo di vita. I figli, come la generazione dei nonni, sono parte essenziale di questa storia e, pertanto, non possono e non devono essere esclusi dalla riorganizzazione della stessa. I figli, in particolare, sono sempre coinvolti dentro le dinamiche distruttive del conflitto, ciò non significa che necessariamente siano invitati a presenziare al processo di mediazione ma possono sicuramente passare allo status di vincoli a quello di risorsa.
Seguendo l’indirizzo sistemico si avrà anche una rivisitazione del concetto stesso di conflitto, il quale presenzia spesso come protagonista nei percorsi di mediazione familiare. Dando per scontato che il conflitto sia inteso come facente parte della vita, ne consegue che si debba imparare a “trasformarlo” sia nella relazione tra le parti sia con noi stessi. “Il conflitto è nell’individuo e nella relazione: ne fa parte. In uno dei suoi significati etimologici la crisi è descritta come qualcosa che presuppone a una scelta, a una decisione. Quindi come la crisi rappresenta un’opportunità, così anche il conflitto, passando attraverso delle scelte deve creare opportunità utilizzando le trasformazioni in senso evolutivo. I conflitti invece vengono vissuti come qualcosa di fastidioso, minaccioso, distruttivo, doloroso. La maggior parte delle persone tenta di evitarli; quando non è possibile spesso diventano una lotta per il potere, che si inasprisce e si cronicizza consolidandone le concezioni negative”. In linea a queste riflessioni, la mediazione acquista capacità perturbatrici, di confronto e incontro sui conflitti che si instaurano nelle relazioni. Scaparro (2001) sostiene “Una mediazione ben condotta è un potente strumento di pace giusta: la diffusione e la pratica delle soluzioni alternative alle dispute ha un forte valore educativo (…). Non mancano esempi nella vita quotidiana di famiglia, scuola ambienti di lavoro … un’irritualità che privilegia l’azione diretta a vincere, a primeggiare, ad affermare il proprio potere, a non tenere in considerazione l’altro (…). Alle parti e al mediatore si richiede una prova di intelligenza e creatività: questo indice le parti a valorizzare le componenti adulte, ad assumersi le responsabilità”.

A questo punto è fondamentale includere tra i marcatori identitari del modello di mediazione sistemica, un aspetto noto e ampiamente trattato nell’evoluzione dell’approccio sistemico relazionale: l’inclusione da parte dell’osservatore nel sistema osservato. Il mediatore familiare, come l’operatore sociale e lo psicologo, sono parte del sistema che viene preso in considerazione. Essi possiedono modelli interiorizzati di relazione (così come dei pregiudizi!) rispetto al conflitto, alla coppia, all’intimità, alla sessualità, ai modelli genitoriali, alla separazione. Il mediatore familiare possiede una griglia interna, affettiva, cognitiva con cui organizza, valuta, seleziona, giudica ciò che vede e sente durante gli incontri di mediazione. Ciò che prima costituiva un qualcosa da cui proteggersi, evitare e tenere distante per il raggiungimento di una neutralità, può divenire oggi un importante strumento relazionale. Solamente attraverso una consapevolezza del nostro funzionamento (modelli interiorizzati di relazione) e delle nostre aree sensibili diventa possibile evitare la “confusione” intesa nell’accezione originale di “fusione-con”: non riuscire cioè a distinguere quali siano i sentimenti, le emozioni, i pensieri che appartengono a noi e alla nostra storia e quelli che appartengono ai membri della coppia. Parafrasando Andolfi (1988) possiamo dire che “la goffaggine” di chi osserva le relazioni familiari non è tanto il non sapere come ci si muove nelle relazioni con gli altri, quanto piuttosto al non sapere ancora come ci si muove con se stessi. Se gli elementi di risonanza vissuti dal mediatore vengono da lui identificati e capiti costituiscono un potente strumento di comprensione. Essi rappresentano qualcosa a lui ben noto e gli permetteranno di aumentare esponenzialmente la sua capacità di cogliere i movimenti relazionali della coppia utilizzando anche la dimensione affettiva e non solamente quella cognitiva.

Il processo di mediazione familiare secondo il modello sistemico pluralista da me abbracciato è così strutturato: fase di consulenza con un primo contatto e un primo incontro di consulenza, momenti nei quali prende avvio l’analisi della domanda alla quale segue la proposta di un percorso di mediazione o l’invio ad altri professionisti; il percorso di mediazione vero e proprio invece riguarda i veri e propri incontri di mediazione, la negoziazione e la stesura degli accordi.
Il primo step che si incontrerà riguarda proprio l’analisi della domanda. È raro trovarsi di fronte una coppia che chiede una mediazione familiare avendo ben chiaro che cosa questa significhi. È più facile trovare famiglie coinvolte in un processo di separazione e che formulano richieste di vario tipo: non sappiamo se separarci o meno; vogliamo separarci ma abbiamo bisogno di un aiuto per i figli e via dicendo. È inoltre frequente che non sempre la richiesta esplicita corrisponde a quella autentica, ma inesprimibile. È quindi fondamentale fare un’accurata analisi della domanda che include anche una valutazione della mediabilità della coppia. Si tratta sostanzialmente di arrivare a definire il problema dal punto di vista dei singoli membri della coppia e stabilire con loro un contratto iniziale sulla base di una definizione condivisa o perlomeno, nel caso non fosse possibile, sulla base della necessità di effettuare un percorso per arrivare a tale definizione. Quando il mediatore e la coppia giungono alla definizione condivisa del problema e alla individuazione dell’intervento appropriato, sarà necessario valutare se il percorso potrà essere fatto da chi ha condotto l’analisi della domanda (mediatore familiare) o, alla luce della situazione, procedere a un invio (ad esempio a una terapia di coppia).
Durante il primo colloquio, che consideriamo parte del percorso di consulenza, dovremo mettere a conoscenza entrambi i partner dei contenuti già passati al mediatore (ad esempio la telefonata) da uno dei due per permettere d’iniziare il percorso di consulenza da un punto di partenza condiviso. Si può procedere poi con l’analisi dei due punti di vista circa il problema. È utile procedere anche con l’iniziale esplorazione di alcune aree relative alla fase in cui la coppia si trova: a una separazione legale avvenuta anche da molto tempo può non corrispondere una separazione psicologica. Le altre aree da esaminare riguardano i figli, le famiglie di origine e la formazione della coppia tenendo comunque ben presenti i confini e l’obiettivo del colloquio: il nostro obiettivo in questa fase di consulenza è quello di capire quale sia il percorso più utile che la famiglia può fare rispetto alle proprie difficoltà.
La fase di mediazione: dopo essersi accordati su argomenti e questioni oggetto della mediazione si procede a un’intervista individuale alla presenza dell’altro. È la fase centrale della mediazione alla quale solitamente si dedicano un paio di incontri, ed è propedeutica alla negoziazione vera e propria. Ognuno dei coniugi in questa fase ha il suo spazio, definito e protetto al quale l’altro partecipa in silenzio, ascoltando. Gli interventi sono consentiti solo se arricchiscono e precisano o aggiungono richieste di chiarimenti, rifiutati se contestano o invadono lo spazio personale. Il percorso di mediazione che coinvolge a vario titolo dei figli, ha come obiettivo il raggiungimento degli accordi sulle questioni che i due genitori decideranno di inserire nel piano di lavoro e che potranno riguardare la riorganizzazione delle relazioni familiari in merito alle responsabilità genitoriali, all’affidamento dei figli, ai modelli educativi e alle risorse economico-finanziarie.
La fase che può essere definita di negoziazione vera e propria giunge al termine del percorso che ha visto i coniugi spostarsi progressivamente dalla posizione di contrapposizione reciproca di richieste a quella di genitori impegnati a definire un problema congiunto a cui ricercare soluzioni. La definizione del problema è avvenuta insieme attraverso la rappresentazione delle esigenze dei genitori e dei bisogni dei figli tramite la loro possibile convocazione. Si potrà quindi procedere nell’ideare opzioni, valutarle e contrattarle attraverso la modalità del brainstorming: una sessione di lavoro in cui i genitori sono invitati a pensare comunicare tutte le soluzioni possibili rispetto al problema, mescolandole rappresentando così il lavoro unitario della coppia non la somma di due liste, mantenendo l’unica regola del divieto di giudizio o commenti sulle soluzioni proposte. Sospendere il giudizio concede la possibilità di prendere in considerazione più soluzioni ed esprimere posizioni delle quali magari non si ha il coraggio di parlarne perché ci si vergogna o si teme l’effetto sull’altro. A questo punto il mediatore cercherà di comporre con gli elementi forniti dai genitori delle proposte di accordo sui singoli punti che includano delle convenienze reciproche, cercando di fare delle formulazioni bilanciate.
La negoziazione si conclude con la definizione degli accordi. Questa fase implica la possibilità di stendere insieme, verificandole, le soluzioni possibili ed eventuali le alternative qualora non venga trovata una soluzione apparentemente soddisfacente per entrambi.

Tutto il percorso di mediazione ha inoltre il compito di restituire ai clienti l’immagine di una coppia di genitori che trova soluzioni, le verifica e le cambia di fronte al sopraggiungere di novità. Così facendo la mediazione costituisce laboratorio e metafora della nuova relazione genitoriale che si va costruendo. Decidere e prendere degli accordi prevede un confronto diretto con la componente emotiva e simbolica legata a queste azioni: il taglio, la perdita da elaborare, far fronte al vuoto, il lutto per la separazione. La redazione stessa degli accordi finali può essere fatta in modo diverso e creativo, a seconda della tipologia di coppia che si ha di fronte: la scrittura diretta del mediatore sulla base delle indicazioni dei genitori oppure il mediatore che incarica direttamente i genitori di farlo. Gli accordi presi andranno scritti sotto forma di punti sui quali i genitori hanno trovato un consenso e che vanno sottoposti al vaglio dei legali. Il linguaggio usato deve essere il più possibile semplice e chiaro, espressione della cultura familiare di entrambi.

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